La città dopo una catastrofe perde il proprio tempo evolutivo, difficilmente rintracciabile in un tempo della ricostruzione. Alla distruzione corrisponde il tempo del progetto nella sua equivalenza di costruzione. Nasce il disegno di nuove città come possibilità di affermazione di nuovi modi dell’abitare: modelli di città neoilluministe come la ricostruzione di Lisbona (1755) o come quelli ‘ideali’ proposti in Calabria dagli ingegneri borbonici (1783), o ancora come la ricostruzione di Gibellina in Sicilia attraverso l’interazione tra arte e architettura. Esempi che riportano alla dialettica tra progetto e utopia sospesa tra passato e futuro e un presente da ripensare come inizio. Sospensione spesso risolta in una negazione del tempo stesso come nella ricostruzione 1908 delle due città dello Stretto, Reggio Calabria e Messina (1908), riproposte nello schema rassicurante di modelli urbani ottocenteschi. In questo contesto s’inserisce la vicenda della ricostruzione di Skopje (1963) e riproposta all’interno del dibattito internazionale che evidenziava la necessità di un superamento di città giardino o di new towns, ma anche di città ripetitiva dei canoni modernisti. L’esito nel concorso internazionale del gruppo coordinato da Kenzo Tange propugnava un’utopia urbana che aveva nella grande dimensione uno dei punti strutturali della sua rappresentazione. City gate e City Wall costituiscono a Skopje una megastruttura d’autore, capace di porsi come ordine urbano nel caos della densità della vecchia città e soprattutto come idealizzazione della struttura antisismica di chiara poetica brutalista. Una poetica che diventa cifra della città, che si riverbererà in maniera virtuosa in altri autori della ricostruzione, facendo di Skopje un atlante di presenze architettoniche ancora da indagare nella loro identità architettonica ma che, paradossalmente, la storia recente sembra dimenticare o peggio rimuovere in un’azione di mascheramento scenografico teatrale falso quanto tragico.

L’immanenza della catastrofe nelle città di fondazione: il caso della ricostruzione di Skopje

Amaro,Ottavio Salvatore
2019-01-01

Abstract

La città dopo una catastrofe perde il proprio tempo evolutivo, difficilmente rintracciabile in un tempo della ricostruzione. Alla distruzione corrisponde il tempo del progetto nella sua equivalenza di costruzione. Nasce il disegno di nuove città come possibilità di affermazione di nuovi modi dell’abitare: modelli di città neoilluministe come la ricostruzione di Lisbona (1755) o come quelli ‘ideali’ proposti in Calabria dagli ingegneri borbonici (1783), o ancora come la ricostruzione di Gibellina in Sicilia attraverso l’interazione tra arte e architettura. Esempi che riportano alla dialettica tra progetto e utopia sospesa tra passato e futuro e un presente da ripensare come inizio. Sospensione spesso risolta in una negazione del tempo stesso come nella ricostruzione 1908 delle due città dello Stretto, Reggio Calabria e Messina (1908), riproposte nello schema rassicurante di modelli urbani ottocenteschi. In questo contesto s’inserisce la vicenda della ricostruzione di Skopje (1963) e riproposta all’interno del dibattito internazionale che evidenziava la necessità di un superamento di città giardino o di new towns, ma anche di città ripetitiva dei canoni modernisti. L’esito nel concorso internazionale del gruppo coordinato da Kenzo Tange propugnava un’utopia urbana che aveva nella grande dimensione uno dei punti strutturali della sua rappresentazione. City gate e City Wall costituiscono a Skopje una megastruttura d’autore, capace di porsi come ordine urbano nel caos della densità della vecchia città e soprattutto come idealizzazione della struttura antisismica di chiara poetica brutalista. Una poetica che diventa cifra della città, che si riverbererà in maniera virtuosa in altri autori della ricostruzione, facendo di Skopje un atlante di presenze architettoniche ancora da indagare nella loro identità architettonica ma che, paradossalmente, la storia recente sembra dimenticare o peggio rimuovere in un’azione di mascheramento scenografico teatrale falso quanto tragico.
2019
978-608-264-010-5
City, Landscape, Architecture, catastrophe
catastrofe, città, ricostruzione
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