Associazione mafiosa e giustizia riparativa. Problemi e prospettive

Italian legal system has adopted in 2022, for the first time, a systematic law about Restorative Justice. It refers to any process which enables those harmed by crime, and those responsible for that harm, if they freely consent, to participate actively in the resolution of matters arising from the offence, through the help of a trained and impartial third party. The aim of this research is exploring how it is possible to implement RJ with condemned people for mafia crimes, after their sentence. I have used a multi-disciplinary approach which draws on sociology, criminology, psychology and anthropology, since mafia is a composite phenomenon in which criminal, economic, political and cultural factors converge. Firstly, I have examined some issues related to mafia’s culture such as the emotional sphere, which is violently denied or “frozen” within a rigid model of identity that leaves no room for expressing subjectivity; the communication system based on silence, falsehood and various forms of misunderstanding (which are also tools that guarantee survival in conditions of secrecy); the activity of intermediation and control of the territory, using violence. Moreover, I have examined rehabilitative treatment for mafia crimes’ prisoners, concluding that it is skewerd towards security needs: for this reason, it appears unsuited to encourage offender’s sense of responsibility, a goal which RJ programmes set. To this end, the research elaborates some proposals for implementing Restorative Justice for mafia crimes prisoners, considering that restorative practices could involve only affiliated members which don’t hold a top position in the organization.

I binari normativi su cui è instradato il lavoro di ricerca sono costituiti dal D. Lgs. 150/2022, che ha introdotto per la prima volta, nel nostro ordinamento, una disciplina organica della giustizia riparativa e dal D.L. n. 162/2022, in cui si prevede che vengano valutate iniziative dell’interessato nei riguardi delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa, in sostituzione dell’attività collaborativa per gli ergastolani ostativi non collaboranti. L’elaborato si prefigge l’obiettivo di verificare se sia possibile estendere la Giustizia Riparativa ai reati di criminalità organizzata, in fase di esecuzione della pena, partendo dall’assunto che alcuni tratti distintivi di certi contesti criminali potrebbero pregiudicarne l’efficacia. A tal fine, le criticità affrontate sono state di diversa natura: sul piano socio-culturale, ci si è domandati come fosse possibile coniugare un paradigma orientato al riconoscimento dell’altro e alla creazione di legami sociali finalizzati ad implementare la sicurezza collettiva con la “cultura mafiosa”, esaminata mettendo in risalto il dispositivo educativo mafioso e i suoi corollari. In proposito, la chiave di lettura utilizzata per lo studio fenomeno mafioso è stata quella del c.d. “paradigma della complessità” coniato dallo studioso Umberto Santino, che predilige uno sguardo trans-disciplinare. A livello ordinamentale sono stati indagati i rapporti tra la giustizia riparativa e la finalità rieducativa della pena, evidenziando come la confusione tra rieducazione, premialità e riparazione rischi di trasformare la giustizia riparativa in una tra le tante strategie di controllo penitenziario. Infine, la ricerca ha analizzato la compatibilità del modello trattamentale attualmente in uso per i condannati per reati di mafia con la responsabilizzazione dell’autore dell’offesa, prevista come obiettivo programmatico dalle fonti nazionali e internazionali in materia. Si ritiene che, per tali tipologie di reato, percorsi di giustizia riparativa siano ipotizzabili solo all’esito di un difficoltoso processo di destrutturazione della cultura di appartenenza, attraverso la predisposizione di un’offerta trattamentale che favorisca un adeguato livello di revisione critica e l’approdo verso nuove modalità di gestione del conflitto.