“Su nessun argomento della nostra disciplina regna, probabilmente, altrettanta confusione”. Sono trascorsi parecchi decenni da quando l'indimenticato Maestro del nostro diritto penale, Giacomo Delitala, così si esprimeva a proposito delle condizioni obiettive di punibilità. Ciò, senza che, tuttavia, possa dirsi a tutt'oggi scongiurata una siffatta sensazione. Ma v'è di più. Al disordine scientifico, fa, difatti, da contraltare una corposa prasseologia, tesa a dilatarne, oltre ogni ragionevole limite, il campo applicativo, asservendolo alle più contingenti esigenze generalpreventive, oltre che alle più deplorevoli ragioni di semplificazione probatoria. Con il conseguente effetto di perpetuare la vigenza, ben al di là anche di quanto espressamente sancito dallo stesso legislatore del 1930, ma, in ogni caso, certamente in contrasto con i risultati perseguiti dalla nostra giurisprudenza costituzionale in tema di colpevolezza, della intramontabile categoria della responsabilità oggettiva. Tuttavia non può negarsi come l'istituto condizionale costituisca uno strumento privilegiato di lettura del complesso e confuso rapporto che connette reato e punibilità, se è vero che si rivela utile per la ricognizione e la relativa sistemazione della eterogenea categoria della non punibilità. Categoria, quest'ultima, rispetto alla quale è necessario che – al pari di quanto avviene in ordine agli elementi incidenti sulla punibilità – si incentri il controllo di costituzionalità. Peraltro, l'analisi giuridica disvela come soltanto le condizioni cosiddette “estrinseche” meritino una simile qualificazione. Ma il risultato appena raggiunto non soddisfa; ancorché possa dirsi assodata la funzione selettiva della punibilità e, quindi, la efficacia deflattiva, rivestite dalle condizioni cosiddette “estrinseche”, la loro innegabile esiguità casistica ne evidenzia la sostanziale ininfluenza nel perseguimento di siffatti scopi deflattivi. Né, tuttavia, il diritto penale sembra poter fare a meno delle condizioni obiettive di punibilità, dal momento che esse costituiscono sovente – come nel rilevante caso della declaratoria fallimentare – l'unico strumento giuridico idoneo a disciplinare talune ipotesi. Sennonché, ogni tentativo di enucleare un rassicurante criterio di distinzione delle condizioni di punibilità dagli elementi costitutivi del fatto e quindi di delimitare l'area della punibilità da quella della non punibilità sistematicamente si infrange contro fondate e condivisibili censure. Certo, il criterio del bene giuridico, che poggia sulla demarcazione tra interesse interno – area del fatto – e interesse esterno al reato – area della opportunità nel punire – si rivela senza dubbio il canone preferibile, ma sconta l'insuperabile limite di risentire della soggettiva opzione culturale dell'interprete. Tutto ciò rende indispensabile e urgente che un futuro legislatore opti per una- vera e propria denominazione dell'istituto condizionale, onde neutralizzare in radice ricorrenti dubbi ermeneutici e qualsivoglia manipolazione giurisprudenziale.

REATO E PENA NELL'ANALISI DELLE CONDIZIONI OBIETTIVE DI PUNIBILITA'

D'ASCOLA, Vincenzo Mario Domenico
2004-01-01

Abstract

“Su nessun argomento della nostra disciplina regna, probabilmente, altrettanta confusione”. Sono trascorsi parecchi decenni da quando l'indimenticato Maestro del nostro diritto penale, Giacomo Delitala, così si esprimeva a proposito delle condizioni obiettive di punibilità. Ciò, senza che, tuttavia, possa dirsi a tutt'oggi scongiurata una siffatta sensazione. Ma v'è di più. Al disordine scientifico, fa, difatti, da contraltare una corposa prasseologia, tesa a dilatarne, oltre ogni ragionevole limite, il campo applicativo, asservendolo alle più contingenti esigenze generalpreventive, oltre che alle più deplorevoli ragioni di semplificazione probatoria. Con il conseguente effetto di perpetuare la vigenza, ben al di là anche di quanto espressamente sancito dallo stesso legislatore del 1930, ma, in ogni caso, certamente in contrasto con i risultati perseguiti dalla nostra giurisprudenza costituzionale in tema di colpevolezza, della intramontabile categoria della responsabilità oggettiva. Tuttavia non può negarsi come l'istituto condizionale costituisca uno strumento privilegiato di lettura del complesso e confuso rapporto che connette reato e punibilità, se è vero che si rivela utile per la ricognizione e la relativa sistemazione della eterogenea categoria della non punibilità. Categoria, quest'ultima, rispetto alla quale è necessario che – al pari di quanto avviene in ordine agli elementi incidenti sulla punibilità – si incentri il controllo di costituzionalità. Peraltro, l'analisi giuridica disvela come soltanto le condizioni cosiddette “estrinseche” meritino una simile qualificazione. Ma il risultato appena raggiunto non soddisfa; ancorché possa dirsi assodata la funzione selettiva della punibilità e, quindi, la efficacia deflattiva, rivestite dalle condizioni cosiddette “estrinseche”, la loro innegabile esiguità casistica ne evidenzia la sostanziale ininfluenza nel perseguimento di siffatti scopi deflattivi. Né, tuttavia, il diritto penale sembra poter fare a meno delle condizioni obiettive di punibilità, dal momento che esse costituiscono sovente – come nel rilevante caso della declaratoria fallimentare – l'unico strumento giuridico idoneo a disciplinare talune ipotesi. Sennonché, ogni tentativo di enucleare un rassicurante criterio di distinzione delle condizioni di punibilità dagli elementi costitutivi del fatto e quindi di delimitare l'area della punibilità da quella della non punibilità sistematicamente si infrange contro fondate e condivisibili censure. Certo, il criterio del bene giuridico, che poggia sulla demarcazione tra interesse interno – area del fatto – e interesse esterno al reato – area della opportunità nel punire – si rivela senza dubbio il canone preferibile, ma sconta l'insuperabile limite di risentire della soggettiva opzione culturale dell'interprete. Tutto ciò rende indispensabile e urgente che un futuro legislatore opti per una- vera e propria denominazione dell'istituto condizionale, onde neutralizzare in radice ricorrenti dubbi ermeneutici e qualsivoglia manipolazione giurisprudenziale.
2004
88-495-0863-8
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12318/20612
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