Il carattere ereditario della subcultura ‘ndranghetistica trova conferma nei dati statistici forniti dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, che negli ultimi vent’anni ha trattato circa 100 procedimenti per reati di associazione mafiosa e connessi (art. 416 bis c.p., art. 74 D.P.R. 309/90, estorsioni etc., reati di cui all’art. 51 bis ter c.p.p.) e più di 50 procedimenti per omicidi e tentati omicidi commessi da minori, molti dei quali – una volta diventati maggiorenni – sono stati sottoposti al regime del 41 bis ord. pen., sono stati uccisi nel corso di faide familiari o hanno assunto la leadership della ‘ndrina di appartenenza.Nel tempo il T.M. di Reggio Calabria ha giudicato minori coinvolti nei sequestri di persona a scopo di estorsione in Aspromonte (primi anni novanta), minori utilizzati come vivandieri per latitanti, minori che – nel tentativo di organizzare autonome ‘ndrine – non hanno esitato a uccidere carabinieri o altri rappresentanti delle forze dell’ordine. Ha processato minori che esercitavano il racket a imprenditori locali spendendo il cognome della famiglia, su mandato dei genitori ristretti in carcere, e minori coinvolti a pieno titolo, talvolta con il ruolo di killer, nelle faide locali; e che quei minori, mai usciti dal circuito penale, hanno allevato i loro figli secondo le medesime logiche e le medesime metodiche di cui essi stessi erano stati vittime.E’ chiaro, a questo punto, che i dati statistici del passato, purtroppo, non sono disgiunti dal presente e ad oggi il T.M. di Reggio Calabria si trova a giudicare i figli o i fratelli di coloro che erano processati negli anni novanta e nei primi anni del duemila, tutti appartenenti alle storiche famiglie del territorio.E’ dunque l’esame dei dati a confermare che la ‘ndrangheta si eredita: le famiglie, cioè, si assicurano il potere sul territorio grazie alla continuità generazionale. Quello dei minori di 'ndrangheta è un fenomeno endemico, talvolta sommerso, che per troppo tempo è stato sottovalutato, come pure sottovalutata è stata l’insidia della trasmissione di valori culturali deteriori da padre in figlio.L'analisi delle storie e dell'habitus psicologico dei figli di ‘ndrangheta dimostra che l’appartenenza all’organizzazione rappresenta nei percorsi di vita dei ragazzi che provengono da tali ambienti non una devianza, un errore o una crisi, bensì un modo di essere che ribadisce piuttosto una coerenza con un sistema criminal-familiare che ha fornito una specifica formazione e che, soprattutto, ha dato risposte soddisfacenti ai loro bisogni.La ‘ndrangheta esercita un grosso potere attrattivo su questi adolescenti, in quanto li immette, senza la fatica e il sacrificio dello studio o del rispetto delle regole, in un sistema di potere, in un mondo capace di controllare il territorio, di usare la violenza per gestire i propri interessi e di esercitare la “loro giustizia”.Ma dietro l’orgoglio dell’appartenenza si nasconde per questi ragazzi una ben più triste e inconsapevole verità: la rigidità della struttura familiare e la costruzione di un mondo chiuso e governato da regole proprie che soffoca le esigenze di libertà ed espressività dei giovani in crescita, negando loro in radice l’esercizio dei diritti fondamentali.
Il pregiudizio inferto al minore dall'indottrinamento mafioso: riflessioni e prospettive / Marzullo, R. - (2016), pp. 1-140.
Il pregiudizio inferto al minore dall'indottrinamento mafioso: riflessioni e prospettive
Marzullo R
2016-01-01
Abstract
Il carattere ereditario della subcultura ‘ndranghetistica trova conferma nei dati statistici forniti dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, che negli ultimi vent’anni ha trattato circa 100 procedimenti per reati di associazione mafiosa e connessi (art. 416 bis c.p., art. 74 D.P.R. 309/90, estorsioni etc., reati di cui all’art. 51 bis ter c.p.p.) e più di 50 procedimenti per omicidi e tentati omicidi commessi da minori, molti dei quali – una volta diventati maggiorenni – sono stati sottoposti al regime del 41 bis ord. pen., sono stati uccisi nel corso di faide familiari o hanno assunto la leadership della ‘ndrina di appartenenza.Nel tempo il T.M. di Reggio Calabria ha giudicato minori coinvolti nei sequestri di persona a scopo di estorsione in Aspromonte (primi anni novanta), minori utilizzati come vivandieri per latitanti, minori che – nel tentativo di organizzare autonome ‘ndrine – non hanno esitato a uccidere carabinieri o altri rappresentanti delle forze dell’ordine. Ha processato minori che esercitavano il racket a imprenditori locali spendendo il cognome della famiglia, su mandato dei genitori ristretti in carcere, e minori coinvolti a pieno titolo, talvolta con il ruolo di killer, nelle faide locali; e che quei minori, mai usciti dal circuito penale, hanno allevato i loro figli secondo le medesime logiche e le medesime metodiche di cui essi stessi erano stati vittime.E’ chiaro, a questo punto, che i dati statistici del passato, purtroppo, non sono disgiunti dal presente e ad oggi il T.M. di Reggio Calabria si trova a giudicare i figli o i fratelli di coloro che erano processati negli anni novanta e nei primi anni del duemila, tutti appartenenti alle storiche famiglie del territorio.E’ dunque l’esame dei dati a confermare che la ‘ndrangheta si eredita: le famiglie, cioè, si assicurano il potere sul territorio grazie alla continuità generazionale. Quello dei minori di 'ndrangheta è un fenomeno endemico, talvolta sommerso, che per troppo tempo è stato sottovalutato, come pure sottovalutata è stata l’insidia della trasmissione di valori culturali deteriori da padre in figlio.L'analisi delle storie e dell'habitus psicologico dei figli di ‘ndrangheta dimostra che l’appartenenza all’organizzazione rappresenta nei percorsi di vita dei ragazzi che provengono da tali ambienti non una devianza, un errore o una crisi, bensì un modo di essere che ribadisce piuttosto una coerenza con un sistema criminal-familiare che ha fornito una specifica formazione e che, soprattutto, ha dato risposte soddisfacenti ai loro bisogni.La ‘ndrangheta esercita un grosso potere attrattivo su questi adolescenti, in quanto li immette, senza la fatica e il sacrificio dello studio o del rispetto delle regole, in un sistema di potere, in un mondo capace di controllare il territorio, di usare la violenza per gestire i propri interessi e di esercitare la “loro giustizia”.Ma dietro l’orgoglio dell’appartenenza si nasconde per questi ragazzi una ben più triste e inconsapevole verità: la rigidità della struttura familiare e la costruzione di un mondo chiuso e governato da regole proprie che soffoca le esigenze di libertà ed espressività dei giovani in crescita, negando loro in radice l’esercizio dei diritti fondamentali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.