Questo del Ponte sullo Stretto molti lo ritengono l’ennesimo effetto di una nuova Fata Morgana: perché come quella appare e scompare, nei programmi di governo (restando un progetto “sospeso”, come s’addice ai ponti). Forse, dopotutto, è meglio che il Ponte sullo Stretto resti all’orizzonte, sospeso appunto nel mito in buona compagnia con Scilla e Cariddi. Almeno finché rimane “questo” ponte: cioè la copia di un ponte già fatto, già visto e rivisto, che trasformerebbe lo Stretto da luogo del mito a un luogo comune. Infatti, se un Ponte ha da esserci tra Reggio e Messina, che almeno sia in grado di reggere il confronto col ponte “ad ali di libellula” di Sergio Musmeci, col ponte sorretto dai titanici moderni telamoni di Giuseppe Samonà, con quello prodigiosamente stabile sulle curve sghembe dell’andamento parabolico e visionario studiato da Pierluigi Nervi; invece, dal lontano Concorso del 1969, non si riscontra un avanzamento “progressivo”, né culturale, né tecnico, relativo a un Ponte sullo Stretto che aspiri a proporsi come progetto “del secolo” (se non del nuovo millennio). Ci si aspettava, insomma, in tanti anni trascorsi dallo storico Concorso per il collegamento stabile viario e ferroviario fra la Sicilia e il Continente (1969), un “superamento disciplinare”, strutturale e tipologico: in cui le ragioni dell’evoluzione tecnica sapessero produrre una forma al servizio dello Stretto. Al contrario, il progetto definitivo che la Società Stretto di Messina ha presentato nel 2002 sembra regredire verso un ingegneristico ed ottimistico “ottocentismo”, che rispolvera l’immagine, consolatoria, di un ponte già consumato in qualche pubblicità. Questa immagine, che sollecita un facile consenso, dovrebbe almeno riscattare il suo carattere di déjà vu attraverso un primato tecnico-scientifico: col superare in un balzo i 3300 m. che separano Scilla e Cariddi; invece, ragioni di prudenza e di economia suggeriscono di avanzare i piloni in acqua2, per ottenere una campata - più sicura, in quanto… già sperimentata col ponte Akashi - di soli 2 km. Ma, in questo caso, giungere a “più miti consigli” produce un allontanamento dal “luogo” del mito. Sarebbe ora di prendere atto che l’eccellenza tecnica diventa sullo Stretto una questione simbolica; e che il Ponte non può esimersi di esprimere un progetto culturale, anziché limitarsi a (ri)produrre una soluzione costruttiva.
Fata Morgana, o del Ponte sullo Stretto / Arcidiacono, Giuseppe. - In: AA. - ISSN 1827-854X. - 34:(2023), pp. 16-19.
Fata Morgana, o del Ponte sullo Stretto
Giuseppe Arcidiacono
2023-01-01
Abstract
Questo del Ponte sullo Stretto molti lo ritengono l’ennesimo effetto di una nuova Fata Morgana: perché come quella appare e scompare, nei programmi di governo (restando un progetto “sospeso”, come s’addice ai ponti). Forse, dopotutto, è meglio che il Ponte sullo Stretto resti all’orizzonte, sospeso appunto nel mito in buona compagnia con Scilla e Cariddi. Almeno finché rimane “questo” ponte: cioè la copia di un ponte già fatto, già visto e rivisto, che trasformerebbe lo Stretto da luogo del mito a un luogo comune. Infatti, se un Ponte ha da esserci tra Reggio e Messina, che almeno sia in grado di reggere il confronto col ponte “ad ali di libellula” di Sergio Musmeci, col ponte sorretto dai titanici moderni telamoni di Giuseppe Samonà, con quello prodigiosamente stabile sulle curve sghembe dell’andamento parabolico e visionario studiato da Pierluigi Nervi; invece, dal lontano Concorso del 1969, non si riscontra un avanzamento “progressivo”, né culturale, né tecnico, relativo a un Ponte sullo Stretto che aspiri a proporsi come progetto “del secolo” (se non del nuovo millennio). Ci si aspettava, insomma, in tanti anni trascorsi dallo storico Concorso per il collegamento stabile viario e ferroviario fra la Sicilia e il Continente (1969), un “superamento disciplinare”, strutturale e tipologico: in cui le ragioni dell’evoluzione tecnica sapessero produrre una forma al servizio dello Stretto. Al contrario, il progetto definitivo che la Società Stretto di Messina ha presentato nel 2002 sembra regredire verso un ingegneristico ed ottimistico “ottocentismo”, che rispolvera l’immagine, consolatoria, di un ponte già consumato in qualche pubblicità. Questa immagine, che sollecita un facile consenso, dovrebbe almeno riscattare il suo carattere di déjà vu attraverso un primato tecnico-scientifico: col superare in un balzo i 3300 m. che separano Scilla e Cariddi; invece, ragioni di prudenza e di economia suggeriscono di avanzare i piloni in acqua2, per ottenere una campata - più sicura, in quanto… già sperimentata col ponte Akashi - di soli 2 km. Ma, in questo caso, giungere a “più miti consigli” produce un allontanamento dal “luogo” del mito. Sarebbe ora di prendere atto che l’eccellenza tecnica diventa sullo Stretto una questione simbolica; e che il Ponte non può esimersi di esprimere un progetto culturale, anziché limitarsi a (ri)produrre una soluzione costruttiva.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
Arcidiacono_2023_AA_FataMorgana_editor.pdf
non disponibili
Tipologia:
Versione Editoriale (PDF)
Licenza:
Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione
642.23 kB
Formato
Adobe PDF
|
642.23 kB | Adobe PDF | Visualizza/Apri Richiedi una copia |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.