The article intends to propose a critical re-reading of the term “empathy”. The educational point of view on the relationship of care concerns, in fact, a dialogic tension dominated by continuous replenish the other as a bearer of an autonomous perspective, equally sensible of our own and not reducible to ours. We must therefore build models of medical education in which it is fundamental the practitioner’s ability to de-concentrate from his own models of social-cognitive construction of reality without, however, vanish from the perspective of the patient. This is defined by Bakhtin “exotopia”. In empathy, in fact, the operator de-contextualizes and isolates some parts of the experience of others to understand it, according to his own experience, so keeping a valid context. He simulates, somehow, to “put himself in the shoes of the other”, but in fact, at the last moment, “put the other one in his shoes.” In exotopia, however, the search begins when, having tried to put himself in the shoes of the other, you find that it does not go well. But to realize this, we must “expose” and questioning ourselves and we may not use either questionnaires or interviews rigidly structured. We must, that is, activate a reflexive attitude in relation to our professional epistemology and in relation to our implicit knowledge, that determines powerfully the care practices. The decision to use the two movies (in this case a short film and a documentary) wants to be a help to develop the reflection on the link empathy-extopia, as it stimulates the processes of experience development – marked by the transformative and interactive values – in which the subject is, or becomes, player in his own learning and existential process.

Il contributo intende proporre una rilettura critica del termine “empatia”. Il punto di vista educativo sulla relazione di cura concentra, infatti, la propria attenzione sulla tensione dialogica dominata dal continuo ricostituire l’altro come portatore di una prospettiva autonoma, altrettanto sensata della nostra e non riducibile alla nostra. Si tratta, dunque, di costruire modelli di formazione medica e sanitaria nei quali è fondamentale la capacità del professionista di decentrarsi dai propri modelli di costruzione socio-cognitiva della realtà senza, però, annullarsi nella prospettiva del paziente. È quello che viene definito da Bachtin “exotopia”. Nell’empatia, infatti, l’operatore isola e decontestualizza alcuni tratti dell’esperienza dell’altro per comprenderla in base alla propria esperienza, quindi mantenendo valido il proprio contesto. Simula, in qualche modo, di “mettersi nelle scarpe dell’altro”, ma in realtà, all’ultimo momento, “mette l’altro nelle proprie scarpe” . Nell’exotopia, invece, la ricerca inizia quando, avendo cercato di mettersi nelle scarpe dell’altro, ci si accorge che non gli vanno bene. Ma per accorgersi di questo bisogna «esporsi», mettersi in discussione, non ci si può avvalere né di questionari, né di interviste rigidamente strutturate. Bisogna, cioè, attivare un atteggiamento riflessivo rispetto alla propria epistemologia professionale ed al proprio sapere implicito che determina potentemente le pratiche di cura. La scelta di utilizzare i due filmati (nella fattispecie un cortometraggio ed un reportage) vuole costituire un ausilio per sviluppare la riflessione attorno al nesso empatia-extopia, poichè stimola i processi di sviluppo dell’esperienza – dal marcato valore trasformativo e interattivo – in cui il soggetto è, o diviene, attore del proprio processo formativo ed esistenziale.

L’"inganno" dell’empatia in ambito sanitario. Dall’empatia all’exotopia attraverso l’uso riflessivo dei film.

Valerio Ferro Allodola
2013-01-01

Abstract

The article intends to propose a critical re-reading of the term “empathy”. The educational point of view on the relationship of care concerns, in fact, a dialogic tension dominated by continuous replenish the other as a bearer of an autonomous perspective, equally sensible of our own and not reducible to ours. We must therefore build models of medical education in which it is fundamental the practitioner’s ability to de-concentrate from his own models of social-cognitive construction of reality without, however, vanish from the perspective of the patient. This is defined by Bakhtin “exotopia”. In empathy, in fact, the operator de-contextualizes and isolates some parts of the experience of others to understand it, according to his own experience, so keeping a valid context. He simulates, somehow, to “put himself in the shoes of the other”, but in fact, at the last moment, “put the other one in his shoes.” In exotopia, however, the search begins when, having tried to put himself in the shoes of the other, you find that it does not go well. But to realize this, we must “expose” and questioning ourselves and we may not use either questionnaires or interviews rigidly structured. We must, that is, activate a reflexive attitude in relation to our professional epistemology and in relation to our implicit knowledge, that determines powerfully the care practices. The decision to use the two movies (in this case a short film and a documentary) wants to be a help to develop the reflection on the link empathy-extopia, as it stimulates the processes of experience development – marked by the transformative and interactive values – in which the subject is, or becomes, player in his own learning and existential process.
2013
Il contributo intende proporre una rilettura critica del termine “empatia”. Il punto di vista educativo sulla relazione di cura concentra, infatti, la propria attenzione sulla tensione dialogica dominata dal continuo ricostituire l’altro come portatore di una prospettiva autonoma, altrettanto sensata della nostra e non riducibile alla nostra. Si tratta, dunque, di costruire modelli di formazione medica e sanitaria nei quali è fondamentale la capacità del professionista di decentrarsi dai propri modelli di costruzione socio-cognitiva della realtà senza, però, annullarsi nella prospettiva del paziente. È quello che viene definito da Bachtin “exotopia”. Nell’empatia, infatti, l’operatore isola e decontestualizza alcuni tratti dell’esperienza dell’altro per comprenderla in base alla propria esperienza, quindi mantenendo valido il proprio contesto. Simula, in qualche modo, di “mettersi nelle scarpe dell’altro”, ma in realtà, all’ultimo momento, “mette l’altro nelle proprie scarpe” . Nell’exotopia, invece, la ricerca inizia quando, avendo cercato di mettersi nelle scarpe dell’altro, ci si accorge che non gli vanno bene. Ma per accorgersi di questo bisogna «esporsi», mettersi in discussione, non ci si può avvalere né di questionari, né di interviste rigidamente strutturate. Bisogna, cioè, attivare un atteggiamento riflessivo rispetto alla propria epistemologia professionale ed al proprio sapere implicito che determina potentemente le pratiche di cura. La scelta di utilizzare i due filmati (nella fattispecie un cortometraggio ed un reportage) vuole costituire un ausilio per sviluppare la riflessione attorno al nesso empatia-extopia, poichè stimola i processi di sviluppo dell’esperienza – dal marcato valore trasformativo e interattivo – in cui il soggetto è, o diviene, attore del proprio processo formativo ed esistenziale.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12318/143188
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