“La Polis, propriamente, non è la città stato in quanto entità fisica ma una formadi organizzazione nella quale ogni membro partecipa all'azione e al discorsocomunitari, la cui collocazione più autentica è fra persone che vivono insieme a talescopo, non importa dove esse si trovino”(Arendt, 1958, p.198)Il principale obiettivo dell’urbanistica moderna è creare una città più giusta ed equa. Nei passati 2/3 decenni si è andati, si sta andando, verso tale obiettivo? Probabilmente per l’Italia la risposta è negativa in molti casi e per vari aspetti. Da un lato è esito dell’affermarsi del progetto sul piano come ipotizzato a metà degli anni ’80 (Crosta, 1985), dall’altro è conseguenza della perdita di alcuni capisaldi “politici” dell’urbanistica: il controllo dello spazio come fatto pubblico, negando nei fatti i presupposti della Bucalossi ed una quasi totale resa alla rendita urbana, assoluta o differenziata, finanziaria (Tocci, 2009); il progressivo abbandono del controllo/pianificazione della gestione/trasformazione del territorio e della città di cui la vicenda dell’equo canone è emblematico; il passaggio del sistema dei servizi/beni pubblici dalla sfera pubblica in quella privata.Dopo 30 anni di sperimentazione di tale impostazione (De Lucia, 2010) quali esiti si sono prodotti? Dinnanzi ad un impoverimento diffuso di reddito e di qualità della vita ed ad una cresciuta speranza di vita sembra quasi che occorra ricordare i presupposti che spinsero i primi ingegneri igienisti e le Commissioni Parlamentari inglesi, che indagavano sulle condizioni di degrado dovute alla industrializzazione selvaggia, a gettare le basi dell’urbanistica moderna.Può anche non essere questione di desiderio d’innalzare inefficacia ed inefficienza del piano con strumenti “nuovi” per trasformare le città. Cioè il tema non è lo strumento ma l’oggetto, gli obiettivi di esso, gli scambi in gioco; anche se ammettere solo l’ipotesi di alcune trasformazioni significa riconoscerne la legittimità. La moderna globalizzazione, come già si anticipava nel 1993, sta portando la competizione tra città, il federalismo fiscale dovrebbe divenire il riferimento per legare le finanze locali al territorio indipendentemente, per molti, dalle condizioni socio economiche. In Italia la scarsa importanza alla città pubblica si è rafforzata nel clima che ha, in modo crescente, visto l’espandersi dell’”individuale” sul collettivo, soprattutto se pubblico: il recente depotenziamento dei bilanci locali avvenuto con l’abolizione dell’ICI ne è una chiara testimonianza (Camagni, 2009). E’ possibile invertire, riprendere, queste dinamiche nel senso della riproposizione di scelte urbanistiche che abbiano il bene collettivo come fine? Sicuramente è indispensabile richiamare i riferimenti politici entro i quali l’urbanistica si colloca sia in relazione ai contenuti sociali che a quelli economici. Quindi tentare di riannodare i molteplici legami, connessioni, che fanno di una città un bene pubblico collettivo e non un bene da vendere (Berdini, 2008). Riferimenti bibliograficiAragona S., 1993, La Città virtuale. Trasformazioni urbane e nuove tecnologie dell’informazione, GangemiBerdini P., 2008, Città in vendita, DonzelliCamagni R., 2009, Introduzione alla XXX Conferenza AISRe, Federalismo, integrazione europea e crescita regionale, Firenze, 9-11 settembreCrosta P.L., 1985, La Produzione sociale del piano, Franco Angeli, MilanoDe Lucia V., 2010, Le mie città, DiabasisTocci W., 2009, L’Insostenibile ascesa della rendita urbana, in Dialoghi Internazionali. Città del mondo n. 10

Urbanistica e marketing urbano stanno dalla stessa parte?

ARAGONA, Stefano
2011-01-01

Abstract

“La Polis, propriamente, non è la città stato in quanto entità fisica ma una formadi organizzazione nella quale ogni membro partecipa all'azione e al discorsocomunitari, la cui collocazione più autentica è fra persone che vivono insieme a talescopo, non importa dove esse si trovino”(Arendt, 1958, p.198)Il principale obiettivo dell’urbanistica moderna è creare una città più giusta ed equa. Nei passati 2/3 decenni si è andati, si sta andando, verso tale obiettivo? Probabilmente per l’Italia la risposta è negativa in molti casi e per vari aspetti. Da un lato è esito dell’affermarsi del progetto sul piano come ipotizzato a metà degli anni ’80 (Crosta, 1985), dall’altro è conseguenza della perdita di alcuni capisaldi “politici” dell’urbanistica: il controllo dello spazio come fatto pubblico, negando nei fatti i presupposti della Bucalossi ed una quasi totale resa alla rendita urbana, assoluta o differenziata, finanziaria (Tocci, 2009); il progressivo abbandono del controllo/pianificazione della gestione/trasformazione del territorio e della città di cui la vicenda dell’equo canone è emblematico; il passaggio del sistema dei servizi/beni pubblici dalla sfera pubblica in quella privata.Dopo 30 anni di sperimentazione di tale impostazione (De Lucia, 2010) quali esiti si sono prodotti? Dinnanzi ad un impoverimento diffuso di reddito e di qualità della vita ed ad una cresciuta speranza di vita sembra quasi che occorra ricordare i presupposti che spinsero i primi ingegneri igienisti e le Commissioni Parlamentari inglesi, che indagavano sulle condizioni di degrado dovute alla industrializzazione selvaggia, a gettare le basi dell’urbanistica moderna.Può anche non essere questione di desiderio d’innalzare inefficacia ed inefficienza del piano con strumenti “nuovi” per trasformare le città. Cioè il tema non è lo strumento ma l’oggetto, gli obiettivi di esso, gli scambi in gioco; anche se ammettere solo l’ipotesi di alcune trasformazioni significa riconoscerne la legittimità. La moderna globalizzazione, come già si anticipava nel 1993, sta portando la competizione tra città, il federalismo fiscale dovrebbe divenire il riferimento per legare le finanze locali al territorio indipendentemente, per molti, dalle condizioni socio economiche. In Italia la scarsa importanza alla città pubblica si è rafforzata nel clima che ha, in modo crescente, visto l’espandersi dell’”individuale” sul collettivo, soprattutto se pubblico: il recente depotenziamento dei bilanci locali avvenuto con l’abolizione dell’ICI ne è una chiara testimonianza (Camagni, 2009). E’ possibile invertire, riprendere, queste dinamiche nel senso della riproposizione di scelte urbanistiche che abbiano il bene collettivo come fine? Sicuramente è indispensabile richiamare i riferimenti politici entro i quali l’urbanistica si colloca sia in relazione ai contenuti sociali che a quelli economici. Quindi tentare di riannodare i molteplici legami, connessioni, che fanno di una città un bene pubblico collettivo e non un bene da vendere (Berdini, 2008). Riferimenti bibliograficiAragona S., 1993, La Città virtuale. Trasformazioni urbane e nuove tecnologie dell’informazione, GangemiBerdini P., 2008, Città in vendita, DonzelliCamagni R., 2009, Introduzione alla XXX Conferenza AISRe, Federalismo, integrazione europea e crescita regionale, Firenze, 9-11 settembreCrosta P.L., 1985, La Produzione sociale del piano, Franco Angeli, MilanoDe Lucia V., 2010, Le mie città, DiabasisTocci W., 2009, L’Insostenibile ascesa della rendita urbana, in Dialoghi Internazionali. Città del mondo n. 10
2011
Pianificazione urbanistica, Equità, Rendita urbana, Finanziarizzazione
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12318/16319
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