Scopo dell'indagine è la ricostruzione del concetto giuridico di "bosco". L'A. prende le mosse da una breve analisi storica che dal diritto romano si sposta attraverso le varie epoche fino alle prime leggi forestali del Regno d'Italia del 1877 (Legge Majorana-Calatabiano) ed alla cd. L. Serpieri n. 3267/1923, per concludersi con la definizione giuridica di bosco contenuta nel d. lgs. 227/2001 cui segue una copiosa legislazione regionale. Si rende quindi necessaria un'analisi del regime fondiario dei boschi come "speciale" rispetto a quello della terra, ragion per cui l'A. approfondisce un tema spinoso che è quello della proprietà dei beni forestali, intesa dalla dottrina (Tamponi) come proprietà speciale, cui segue lo studio degli altri diritti reali che hanno come oggetto il bosco, con particolare riguardo all'usufrutto, senza trascurare un cenno all'ancora vivo dibattito sugli usi civici. La specialità del bene forestale induce l'A. a soffermarsi sui (limitati) poteri del proprietario e quindi sui limiti e vincoli. L'interrogativo che rimane è se l'impresa silvana, alla luce di quanto detto, sia o meno conveniente per il proprietario, il cui potere di destinazione è fortemente limitato in ragione delle finalità protettive del territorio cui è preordinato il bene forestale, che sembrano quasi mettere in ombra quelle produttive. Ne deriva che l'attività selvicolturale ha lo scopo di realizzare non tanto l'interesse dell'imprenditore, che rimane sullo sfondo, ma piuttosto quello pubblico alla conservazione dell'ambiente e del paesaggio. In questa logica diventa necessario individuare i poteri dell'imprenditore forestale il quale gestisce un bene certamente qualificabile come "economico", ed avente -in quanto tale- una destinazione produttiva, ma che presenta una serie di peculiarità che non consentono di sfruttarne al massimo le potenzialità. Si rende, quindi, necessario distinguere dall'attività selvicolturale vera e propria la cd. "arboricoltura da legno", sottratta dal regime dei vincoli che caratterizza il bosco. La proprietà di questo bene, a causa delle finalità spiccatamente pubbliche che svolge, rischia di diventare svantaggiosa per il titolare. Il bosco diventa pertanto un incomodo per il proprietario anche se è un'importante risorsa per la collettività, in quanto bene a fruizione collettiva, categoria questa oggetto di studi da parte di qualificata dottrina d'oltreoceano che ha parlato della "tragedia dei beni comuni", fino a sfociare -in Italia- in un progetto di legge elaborato da una commissione appositamente istituita (presieduta da Stefano Rodotà) che ha proposto l'inserimento, accanto alle tradizionali categorie dei beni pubblici (demaniali e patrimoniali) dei cd. “beni comuni”, intesi come beni che devono essere tutelati "anche a beneficio delle generazioni future". Di tale categoria non possono non far parte le foreste proprio per le utilità dirette e indirette che forniscono alla collettività. Com'è noto, il progetto di legge non è andato finora a buon fine. Ciò tuttavia non toglie che rimane comunque l'esigenza di sganciare il bosco dalla logica proprietaria pubblica e privata e di inquadrarlo insieme all'acqua, all'ambiente ed alle frequenze, e comunque tra quei beni che vengono in rilievo per la loro dimensione collettiva di lungo periodo. Non rimane così che augurarsi che l'auspicata riforma dei beni pubblici giunga presto a compimento, anche per far fronte all'esigenza che il codice civile possa tornare a svolgere il proprio ruolo di gestione dei beni. Solo così il legislatore potrà mettere in atto quegli sforzi -già fatti nei sistemi di common law- ove le riforme non sono soltanto espressione del governo in carica ma sottoposte all'occhio di una commissione che garantisce che i progetti di legge vengano comunque portati a compimento, anche a dispetto dei troppo frequenti cambi della guardia.

La proprietà ed i diritti reali di godimento del bosco tra funzioni protettive e funzioni produttive. Riflessioni sul tema dei "beni comuni".

SAIJA, ROBERTO
2011-01-01

Abstract

Scopo dell'indagine è la ricostruzione del concetto giuridico di "bosco". L'A. prende le mosse da una breve analisi storica che dal diritto romano si sposta attraverso le varie epoche fino alle prime leggi forestali del Regno d'Italia del 1877 (Legge Majorana-Calatabiano) ed alla cd. L. Serpieri n. 3267/1923, per concludersi con la definizione giuridica di bosco contenuta nel d. lgs. 227/2001 cui segue una copiosa legislazione regionale. Si rende quindi necessaria un'analisi del regime fondiario dei boschi come "speciale" rispetto a quello della terra, ragion per cui l'A. approfondisce un tema spinoso che è quello della proprietà dei beni forestali, intesa dalla dottrina (Tamponi) come proprietà speciale, cui segue lo studio degli altri diritti reali che hanno come oggetto il bosco, con particolare riguardo all'usufrutto, senza trascurare un cenno all'ancora vivo dibattito sugli usi civici. La specialità del bene forestale induce l'A. a soffermarsi sui (limitati) poteri del proprietario e quindi sui limiti e vincoli. L'interrogativo che rimane è se l'impresa silvana, alla luce di quanto detto, sia o meno conveniente per il proprietario, il cui potere di destinazione è fortemente limitato in ragione delle finalità protettive del territorio cui è preordinato il bene forestale, che sembrano quasi mettere in ombra quelle produttive. Ne deriva che l'attività selvicolturale ha lo scopo di realizzare non tanto l'interesse dell'imprenditore, che rimane sullo sfondo, ma piuttosto quello pubblico alla conservazione dell'ambiente e del paesaggio. In questa logica diventa necessario individuare i poteri dell'imprenditore forestale il quale gestisce un bene certamente qualificabile come "economico", ed avente -in quanto tale- una destinazione produttiva, ma che presenta una serie di peculiarità che non consentono di sfruttarne al massimo le potenzialità. Si rende, quindi, necessario distinguere dall'attività selvicolturale vera e propria la cd. "arboricoltura da legno", sottratta dal regime dei vincoli che caratterizza il bosco. La proprietà di questo bene, a causa delle finalità spiccatamente pubbliche che svolge, rischia di diventare svantaggiosa per il titolare. Il bosco diventa pertanto un incomodo per il proprietario anche se è un'importante risorsa per la collettività, in quanto bene a fruizione collettiva, categoria questa oggetto di studi da parte di qualificata dottrina d'oltreoceano che ha parlato della "tragedia dei beni comuni", fino a sfociare -in Italia- in un progetto di legge elaborato da una commissione appositamente istituita (presieduta da Stefano Rodotà) che ha proposto l'inserimento, accanto alle tradizionali categorie dei beni pubblici (demaniali e patrimoniali) dei cd. “beni comuni”, intesi come beni che devono essere tutelati "anche a beneficio delle generazioni future". Di tale categoria non possono non far parte le foreste proprio per le utilità dirette e indirette che forniscono alla collettività. Com'è noto, il progetto di legge non è andato finora a buon fine. Ciò tuttavia non toglie che rimane comunque l'esigenza di sganciare il bosco dalla logica proprietaria pubblica e privata e di inquadrarlo insieme all'acqua, all'ambiente ed alle frequenze, e comunque tra quei beni che vengono in rilievo per la loro dimensione collettiva di lungo periodo. Non rimane così che augurarsi che l'auspicata riforma dei beni pubblici giunga presto a compimento, anche per far fronte all'esigenza che il codice civile possa tornare a svolgere il proprio ruolo di gestione dei beni. Solo così il legislatore potrà mettere in atto quegli sforzi -già fatti nei sistemi di common law- ove le riforme non sono soltanto espressione del governo in carica ma sottoposte all'occhio di una commissione che garantisce che i progetti di legge vengano comunque portati a compimento, anche a dispetto dei troppo frequenti cambi della guardia.
2011
BOSCO; PROPRIETA' SPECIALE; USUFRUTTO; AMBIENTE; BENI COMUNI; POTERI; VINCOLI; IMPRESA SELVICOLTURALE; COMMONS
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12318/6583
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